Loader

Le relazioni d’aiuto sono davvero d’aiuto? “Non siate Lupi!”

Le relazioni d’aiuto sono davvero d’aiuto? “Non siate Lupi!”

 

 

“Stregatto… potresti dirmi, per favore, quale strada devo prendere per uscire da qui?”

“Tutto dipende da dove vuoi andare”, disse il Gatto. “Non importa molto…”, disse Alice. “Allora non importa quale via sceglierai”, rispose il Gatto.

 

 “Alice nel paese delle meraviglie”

Lewis Carroll

 

“Quando vengo ogni volta spero che tu capisca come mi sento. Ma non è mai così. Ogni volta mi impegno a non piangere, e sai perché? Per non darti la soddisfazione di vedermi stare male…. Perché tutti riescono a vedermi tranne voi? Non lo so…. Spero ogni giorno di non vederti più, ma so che non sarà così… aiutatemi, non siate dei lupi”.

A parlare è una bambina di 12 anni, in una lettera aperta rivolta all’assistente sociale, come riportato in un articolo apparso sul quotidiano “Il secolo XIX” del 19 maggio 2024.

Sono certo che ci saranno tanti bambini e tante persone che sono grati agli assistenti sociali che li hanno accompagnati e li accompagnano nei loro percorsi di vita.

Nel mio lavoro di formatore incontro moltissimi professionisti delle professioni d’aiuto e, tra questi, molti assistenti sociali e percepisco sempre più accentuata la difficoltà che incontrano nell’essere d’aiuto alle persone che esprimono diffidenza e forti resistenze nella relazione, soprattutto nei colloqui “su mandato”, caratterizzati da un obbligo a presentarsi al servizio piuttosto che da una ricerca di aiuto.

Nei corsi che tengo, per enti pubblici e privati, e nelle mie docenze universitarie, insegno un particolare metodo, il colloquio motivazionale, che si è rivelato particolarmente efficace per aiutare le persone a effettuare dei cambiamenti e a evolversi nel modo in cui effettuare le scelte che i loro percorsi di vita richiedono.

Il colloquio motivazionale ha una solida base scientifica che ne ha dimostrato l’efficacia fino ad essere considerato una “pratica sorretta da evidenze scientifiche di efficacia” (Evidence Based Practice), prova ne è che le linee guida per il trattamento delle persone con Disturbo da Gioco d’Azzardo emanate dal Ministero della Salute[1], hanno individuato il colloquio motivazionale come primo metodo da utilizzare nella relazione d’aiuto in quel campo.

Applicando per più di 30 anni nel mio lavoro il colloquio motivazionale e insegnandolo da più di 20 anni ho sempre pensato che una corretta applicazione del metodo fossa garanzia di efficacia in termini di miglioramento dello stato di benessere delle persone che si rivolgono ai servizi. Poi mi sono reso conto che non è così, o, meglio, non è solo così.

Decadi di ricerche internazionali hanno dimostrato che diversi metodi di approccio alla relazione d’aiuto ottengono risultati simili e, soprattutto, che l’applicazione corretta di un metodo da parte di operatori diversi non porta a esiti del servizio conformi; anzi, gli esiti sono sorprendentemente difformi.

Si è cominciato a pensare che l’esperienza professionale nelle relazioni d’aiuto fosse un elemento che poteva spiegare tale difformità: ma ulteriori studi hanno dimostrato che l’esperienza non incide in modo univoco sul miglioramento dell’efficacia del servizio.

Le ricerche sul campo hanno cominciato a rivolgere l’attenzione sempre più alle caratteristiche di chi offre il servizio piuttosto che a quale metodo si utilizza.

La metafora più utilizzata è quella “culinaria”: per una pietanza ben riuscita, conta di più il cuoco che la cucina o gli ingredienti che utilizza? Naturalmente entrambe contribuiscono alla buona riuscita.

L’attenzione si è quindi cominciata a focalizzare sempre di più sulle qualità relazionali dei professionisti che contribuiscono al miglioramento degli esiti del servizio cercando di individuarle, di misurarle e di capire in che modo possono essere implementate, imparate e insegnate.

Si tratta di qualità personali non presenti in tutti i professionisti e neppure comuni a tutti i professionisti ma  insite in ogni essere umano come un potenziale innato che può essere coltivate e implementate con efficacia. Il grande aiuto che hanno fornito queste ricerche consiste nel fatto che quando il professionista acquisisce consapevolezza di quali siano questi “fattori aspecifici” può effettuare una autoanalisi della misura in cui è in grado di esprimere questi fattori nella relazione d’aiuto.

 

Fattori comuni, specifici e a-specifici    

I fattori comuni nella relazione d’aiuto sono quelli presenti in diversi approcci metodologici (per esempio: l’espressione di empatia, l’assenza di giudizio, l’ascolto, il sostegno ecc.).

I fattori specifici sono quelli che caratterizzano i diversi approcci (per esempio, nel colloquio motivazionale: l’attenzione particolare alle affermazioni della persona riguardanti il cambiamento, l’individuazione dei fattori del cambiamento, i 4 compiti specifici dell’operatore ecc.)

I fattori a-specifici sono insiti nell’indole dell’operatore e risulta decisiva la misura in cui l’operatore ha capacità di esprimerli nella relazione d’aiuto.

Le ricerche hanno permesso di individuare i fattori a-specifici ed hanno permesso di verificare che sono

Individuabili attraverso l’ascolto da parte di un tecnico della registrazione;

Misurabili attraverso l’ascolto da parte di un tecnico della registrazione

Che si possono insegnare anche attraverso l’osservazione e/o l’ascolto di colloqui tenuti da esperti

Migliorabili coltivando la consapevolezza e le tecniche per migliorare la capacità di esprimerle nella relazione d’aiuto

Nello specifico questi fattori a-specifici sono:

  1. Accurata empatia:

Adotta la mente di un umile principiante nelle tue relazioni di aiuto, senza supporre di sapere già cosa sta succedendo e cosa è necessario.

  1. Accettazione non giudicante

Aiutare senza giudicare implica prendere interesse e comprensione dell’esperienza unica delle persone qualunque essa sia.

  1. Considerazione positiva incondizionata

Le persone hanno un valore intrinseco e non hanno bisogno di dar prova di meritare rispetto.

  1. Genuinità

Parla spontaneamente piuttosto che seguendo una routine provata, una lista di controllo o un manuale, e sii consapevole delle tue reazioni.

  1. Focalizzazione

La condivisione degli obiettiviè una componenete essenziale dell’alleanza e della collaborazione. E’ predittiva di esiti positivi

  1. Speranza positiva

La visione positiva è parte del ruolo del professionista. Anche definita «ottimismo di ruolo

  1. Evocazione

Evocare, far emergere, le prospettive e le motivazioni del cliente per il cambiamento è un compito determinante del CM

  1. Offerta di informazioni e consigli se richiesti

Le informazioni vengono fornite in modo particolarmente centrato sulla persona (Domanda – Offri – Domanda). I consigli solo se richiesti

 

Le ricerche scientifiche hanno permesso di affermare che la presenza nell’operatore di queste qualità personali e la sua capacità di esprimerle nella relazione d’aiuto fanno la differenza in termini di esiti del servizio fornito sia in positivo che in negativo.

Quando questi fattori sono carenti o vengono totalmente a mancare la relazione d’aiuto può avere un effetto inverso, nel senso che rivolgendosi ad operatori che non sono in grado di esprimere nella relazione d’aiuto i fattori sopra descritti, diminuisce sensibilmente la probabilità che le persone traggano beneficio, in termini di miglioramento del loro benessere, da quel servizio.

 

[1] DECRETO 16 luglio 2021, n. 136.

Regolamento recante adozione delle linee di azione per garantire le prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione rivolte alle persone affette dal gioco d’azzardo patologico (GAP).

L’accurata empatia

Inizialmente le ricerche si sono concentrate sulla capacità dell’operatore di esprimere una accurata empatia.

Per accurata empatia si intende la capacità dell’operatore di comprendere a fondo il punto di vista della persona riguardo all’area di cambiamento presa in considerazione.

E’ un atteggiamento che, partendo dall’indole innata di curiosità dell’operatore, si esprime attraverso tecniche di ascolto (soprattutto ascolto riflessivo e domande aperte), quindi comprende un fattore intrinseco, la curiosità, e un modo per esprimerla attraverso le tecniche.

Proprio sulla capacità dell’operatore di esprimere un’accurata empatia si riporta, come esempio una ricerca molto approfondita.

  • Nove operatori formati e supervisionati insieme allo stesso approccio alle relazioni d’aiuto con persone con disturbo da uso di alcol
  • Valutati indipendentemente da tre supervisori esperti con riguardo al livello di accurata empatia espresso (utilizzando la scala di osservazione sviluppata da Truax & Carkhuff, 1967
  • Le persone che si sono rivolte a operatori in grado di esprimere un alto livello di accurata empatia aumentano la loro probabilità di ottenere un esito positivo dalla relazione d’aiuto

                              Alta empatia

                       Media empatia

                                                            Bassa empatia

 

Miller, W. R., Taylor, C. A., & West, J. (1980). Focused versus broad-spectrum behavior therapy for problem drinkers. Journal of Consulting and Clinical Psychology, 48(5), 590-601.

 

 

La domanda successiva è stata: ma le persone che non si rivolgono ai servizi che probabilità hanno di ottenere un miglioramento con il solo autoaiuto?

I professionisti che esprimono bassa empatia diminuiscono la probabilità di un miglioramento del benessere delle persone più di coloro che non ricorrono ai servizi

Moyers, T. B., & Miller, W. R. (2013). Is low therapist empathy toxic? Psychology of Addictive Behaviors, 27(3), 878-884.

Queste ricerche già nel 1967 hanno fatto esprimere a Truax e Carkhuff il parere: “Le professioni (gli ordini professionali) dovrebbero dare attivamente una mano per eliminare o riqualificare professionisti delle professioni d’aiuto, che non sono in grado di fornire alti livelli di capacità personali efficaci e che, quindi, è probabile che stabiliscano relazioni che cambiano le persone in peggio

Possiamo quindi affermare che nei vari ambiti di servizio alla persona una alta empatia espressa dal professionista è associata a migliori esiti del servizio e che una bassa capacità di espressione di empatia da parte del professionista è associata a un netto peggioramento degli esiti del servizio (Elliott, R., Bohart, A. C., Watson, J. C., & Murphy, D. (2018). Therapist empathy and client outcome: An updated meta-analysis. Psychotherapy, 55(4), 399-410).

 

 

L’importanza di una formazione e di una supervisione qualificate

Il metodo del Colloquio Motivazionale permette all’operatore di imparare a mantenere un atteggiamento conforme ai sopradescritti fattori a-specifici appoggiandosi e aiutandosi attraverso le tecniche specifiche del Colloquio Motivazionale. Dunque, le tecniche professionali nel Colloquio Motivazionale non sono altro che un ausilio per l’operatore finalizzato al mantenimento di uno stato di mente e di cuore che favorisce il buon esito della relazione d’aiuto perché le ricerche hanno sempre più ridotto l’attenzione su quali fossero i metodi più efficaci aumentando l’attenzione su quali fossero gli operatori più efficaci.

La formazione che offre Motivational Interviewing Academy, sia nel merito che nel metodo di insegnamento permette di applicare il Colloquio Motivazionale in modo aderente alle ultime ricerche e agli ultimi aggiornamenti sul metodo in linea con le novità emerse dall’ultima edizione del manuale nell’agosto del 2023 (IV edizione ancora non tradotta in italiano).

La supervisione professionale permette di ottenere un feedback qualificato sulle proprie capacità di adeguarsi a quei fattori a-specifici che le ricerche internazionali hanno individuato come decisivi per la qualità della relazione d’aiuto.

Si tratta di una supervisione tecnica sulle proprie modalità di conduzione dei colloqui professionali in qualsiasi ambito dei servizi sociali e sanitari e nelle aziende.

In questo medo si implementa una capacità di autoriflessione dell’operatore su quei fattori che riesce a esprimere e su quelli su cui c’è ancore da lavorare.

Nello stesso tempo quindi il professionista si trova ad essere agente di cambiamento e di crescita per le persone che incontra e, nello stesso tempo, lavora sulla sua evoluzione professionale coltivando gli 8 fattori e, attraverso la supervisione, con l’opportunità di avere un feedback qualificato dei suoi progressi e dei suoi miglioramenti.

Questo processo potrebbe costituire una vera rivoluzione sia per la formazione che per la supervisione professionale a partire dalla formazione universitaria che negli ultimi decenni ha segnato il passo, non tanto sulla preparazione teorica dei futuri professionisti, ma sulle capacità tecniche di conduzione di un colloquio professionale d’aiuto.

I professionisti delle professioni d’aiuto hanno bisogno di tornare a coltivare le loro capacità relazionali e di appoggiarsi alle ricerche scientifiche che hanno analizzato le relazioni d’aiuto; non più buone prassi ma pratiche sorrette da evidenze scientifiche di efficacia.

Non si può più continuare ad appoggiarsi al muro del pianto lamentandosi del mancato riconoscimento professionale o dell’eccessivo carico di lavoro, è il momento di scavalcare il muro del pianto e di entrare nel proprio giardino personale per coltivare e far evolvere quei fattori personali, quelle caratteristiche che ci rendono più efficaci nell’accompagnare le persone verso il loro cambiamento positivo e verso la loro evoluzione personale.

 

 

Valerio Quercia
valerioquercia@libero.it

È Assistente Sociale Specialista, formatore e membro della rete mondiale dei formatori al colloquio motivazionale (MINT - Motivational interviewing Network of Trainer). Della sua attività di formatore dice: "Il colloquio motivazionale mi ha permesso di tradurre nella pratica tutte le idee che mi avevano condotto alla decisione di diventare assistente sociale. E’ stato come un colpo di fulmine. La parte più bella del mio lavoro di formatore è quando vedo quello stesso fulmine colpire i miei corsisti."